Nel 2005, l’UNESCO ha aggiunto la tradizione sarda del canto a tenore alla Lista del Patrimonio Immateriale dell'Umanità (“Canto a tenore, Sardinian Pastoral Songs”). Citando l’importanza del canto a tenore in tutta la Sardegna e sorvolando sulla varietà diffusa della tradizione, la proclamazione UNESCO ha consacrato il canto a tenore come forma d’arte nazionale dell’isola. Politici e mass media sardi hanno inteso questo riconoscimento come un’ottima opportunità per asserire la legittimità della nazione sarda agli occhi di una organizzazione stimata a livello internazionale, mentre i cantori hanno rifiutato questa perché a loro avviso rappresenta una semplificazione della tradizione (Macchiarella). Oltre ad attirare l’attenzione sul canto a tenore come attrazione turistica, la dichiarazione UNESCO ha sollevato domande sul carattere “nazionale” dello stesso.
La questione di considerare il canto a tenore rappresentativo di una “nazione sarda” ha una duplice difficoltà. Dall’inizio l’identità della Sardegna come “nazione” è stata dibattuta perché l’isola è parte d’Italia e, allo stesso tempo, una regione autonoma dotata di una certa indipendenza. Se “nazione” significa “stato,” la Sardegna non lo è. Se invece “nazione” significa un gruppo di persone che condivide aspetti culturali, quali la lingua, la religione, e la musica, la Sardegna potrebbe essere definita come tale.
La natura stratificata della cultura sarda rende complessa questa definizione di “nazione”, una complessità ben rappresentata dal canto a tenore. Questa tradizione di canto polifonico per quattro voci maschili usa un timbro gutturale
unico al canto a tenore. Ad un orecchio non allenato, questo timbro suona identico in ogni canzone, ma il canto a tenore non esibisce una forma standardizzata tranne alcuni elementi musicali generali: il timbro distintivo cambia ancora in ogni villaggio, così come le parole.
Per definizione, il canto a tenore contribuisce alla “localizzazione” dell’isola, vale a dire che i diversi villaggi sono separati tra loro dalle differenze tecniche dei loro tipi di canto a tenore. Allo stesso tempo, il canto a tenore è servito storicamente come modo per legare insieme una comunità frammentata tramite un suono e un sentimento comune. Insomma, il canto a tenore fomenta sia il nazionalismo, che contribuisce a unire i membri dello stesso villaggio in una comunità, sia il nazionalismo regionale, che fa da collante all’isola nel suo insieme e che incoraggia l’ideale di una “nazione sarda” indipendente dallo stato italiano. In questo breve studio della storia del canto a tenore, ci si propone di valutare come questo genere musicale alimenti una forma di nazionalismo
a livello regionale e a livello locale nel passato e presente.
I. Lingua e poesia
La Sardegna ha una lunga storia di occupazioni che risale fino all'antichità con le conquiste greca, cartaginese, romana, e bizantina (Grossvogel; Galoppini 87). É stato solo nel 1948 che lo stato italiano ha dichiarato l’isola “regione autonoma” (Grossvogel; Galoppini). A causa delle diverse influenze straniere, la Sardegna ha sviluppato un’idea complessa e stratificata di identità geopolitica e culturale. Ciascun villaggio sardo è evoluto diversamente e i sardi provano un senso di connessione forte con i membri della comunità locale più che con quelli dell’isola o, ancor meno della penisola italiana, nel suo complesso. I sardi considerano ogni villaggio una piccola nazione e l’isola un continente che contiene una confederazione non rigida di piccole nazioni locali (Pilosu 15-20).
L’occupazione della Sardegna da parte di altri paesi ha avuto una grande influenza anche sullo sviluppo linguistico dell’isola. La presenza linguistica del latino, del greco, del catalano e dell’italiano ebbe un impatto sulle differenti zone in modo distinto; questo spiega lo sviluppo dei vari dialetti della lingua sarda; per esempio, nel nord dell’isola, il dialetto sassarese ha una forte influenza italiana, mentre nel sud, il dialetto campidanese ha una forte influenza spagnola (Posner e Sala; Galoppini 88).[1] La varietà di dialetti nella lingua sarda ha ostacolato nazionalismo regionale in Sardegna. Il nazionalismo linguistico è un ingrediente chiave per sviluppare una identità nazionale, come suggerisce Hans Kohn in The Idea of Nationalism: A Study in Its Origins and Background. Kohn definisce il nazionalismo come uno stato mentale causato dalla “identification with the life and aspirations of uncounted millions whom we shall never know, with a territory which we shall never visit in its entirety” (9). Una lingua standard rafforza lo sviluppo del nazionalismo: fa sì che ogni membro della nazione senta una connessione con gli altri senza averli mai conosciuti. Quando l’interazione fisica è possibile, una lingua standard permette ai membri della nazione anche di comunicare tra di loro. Questa comunicazione aiuta i sardi a costruire facilmente una mentalità di gruppo che costituisce la base del pensiero nazionalista (Kohn 11-12). Ai parlanti, una lingua standard permette di concepire la nazione alla quale appartengono, e l’atto di immaginare la nazione è un atto che cristallizza la sua esistenza. Di conseguenza, la vitalità delle varietà dialettali in Sardegna avrebbe limitato l’abilità di creare una forte identità di gruppo sarda, bloccando lo sviluppo di un nazionalismo regionale nell’isola.
Davanti a minacce esterne di oppressione, i sardi tendono a mettere da parte le differenze linguistiche per riconfermare che la regione autonoma è una nazione unita e sovrana. Per esempio, quando il regime fascista d’Italia fondò la sua politica nazionalista e monoculturale a metà del ventesimo secolo, vide nell’esistenza della lingua sarda una minaccia per la nazione italiana (Garroni 33).[2] Il regime decise di soffocare il rischio di fomentare il nazionalismo regionale sardo reprimendo l’uso della lingua sarda (Garroni 33). Lo stigma generato durante questo periodo—che il sardo fosse inferiore all’italiano—continua a influenzare gli usi linguistici dei sardi anziani, i quali evitano l’uso della loro lingua materna e dei loro dialetti locali per paura di queste impressioni negative (Medis e Pilosu).
Il ruolo della lingua sarda nella tradizione rende il canto a tenore interessante per i nazionalisti sardi: vista la storia di oppressione linguistica, l’uso del sardo nelle canzoni può funzionare come simbolo della resistenza al controllo italiano e come una espressione d’orgoglio regionale in sé. Ciascun villaggio sardo ha un unico repertorio di poesia composto in dialetti locali, ma le differenze linguistiche sono dimenticate di fronte a una minaccia comune, come il controllo italiano, che mette in pericolo la regione intera (Medis e Pilosu).
A Bolu, il documentario del 2019 sul canto a tenore prodotto in collaborazione col governo sardo, presenta un’ampia sezione sulla interferenza dello stato italiano in Sardegna durante gli anni Settanta e Ottanta. Le immagini di una città industriale appaiono sullo schermo mentre un giovane sardo spiega che la creazione obbligata dell’industria e il suo abbandono successivo da parte degli investitori ha decimato il mercato del lavoro sardo e la produttività della terra. Il documentario non accusa esplicitamente lo stato italiano, ma allude alle colpe dello stato nella gestione delle terre sarde durante il secolo XX (Medis e Pilosu 29:50-32:11).
Il documentario raffigura un gruppo di cantori che si prepara a cantare vicino a una fabbrica abbandonata. Il gruppo comincia a cantare: “Senza distinzioni, uniti dobbiamo essere, figli di una bandiera liberi rispettati e uguali”; però si ferma all’improvviso. “Mi sa che non mi va di cantare in questo luogo, il canto non risuona bene,” dichiara uno (Medis e Pilosu 32:26-33:00). Il gruppo può solamente cantare di nuovo dopo avere abbandonato la regione industriale ed essere tornato al proprio villaggio. I cantori continuano:
Un tempo la povera Sardegna era detta il granaio di Roma,
oggi di tale fama non è degna.
Il giardino, il campo, l’uliveto,
dei tempi antichi è mutato
in un triste e spinoso calvario. . .
Speriamo che al più presto abbia fine
questo stato di cose doloroso;
siamo troppo stanchi di soffrire. (Medis e Pilosu 33:00-35:40.)[3]
Mentre l’interferenza italiana ha avuto luogo in solo alcune parte della Sardegna, il cantante parla di tutta la “povera Sardegna” e la sofferenza di un intero popolo piuttosto che una località in particolare. Ignora anche le divisioni locali in Sardegna per creare un sentimento d’unità della regione, che rende la canzone “nazionalista” piuttosto che semplicemente “nazionale.” Dato che la lingua sarda è stata presa di mira dai poteri di fuori, l’uso della lingua in canto a tenore insieme alla poesia ha sostenuto soprattutto il nazionalismo regionale per unire i sardi attraverso i confini locali.
II. Musica
Oltre alla poesia, anche la musica contribuisce all’analisi del canto a tenore e il nazionalismo nella Sardegna. Quattro voci maschili costituiscono il canto a tenore: bassu, contra, mesu boghe e boghe.[4] Il bassu, la voce più grave, produce il timbro gutturale che distingue il suono del canto a tenore (Regione Autonoma della Sardegna 14-15). La contra, la voce centrale, ha un timbro simile al bassu, però con meno vibrato; questa voce usa sillabe come “bim” o “bom” al posto di parole (Regione Autonoma della Sardegna 14-15). Queste due voci, che costituiscono il tenore, sono fisse: cantano solamente una nota (Lortat-Jacob 7-8). I loro timbri unici creano armonie più alte che arricchiscono il suono del coro (Lortat-Jacob 21). La mesu boghe, la voce più alta, aggiunge passaggi vocali abbelliti e melismatici di accompagnamento alla poesia, la quale è realizzata dalla boghe (Lortat-Jacob 24). La boghe ha più libertà e responsabilità tra tutte le altre voci dei cantori, dato che il cantore in questa voce ha l’autorità di cominciare la canzone, interpretare la poesia, determinare il tempo, e iniziare modulazioni (Regione Autonoma della Sardegna 14-15; Lortat-Jacob 22-23).
Mentre questi elementi di base restano relativamente costanti nella maggioranza delle
esecuzioni di canto a tenore, ogni villaggio in Sardegna, in cui esiste il canto a tenore, ha una tradizione musicale unica, chiamata traggiu (Pilosu 406). La parola “traggiu” non ha un equivalente in italiano né un’altra lingua, ma in sardo viene da tīru(m), che significa un cortigiano, e awûm, che significa parlare (Dedola 95). La combinazione t(ī)r-awum, che diventa traggiu, significa “un cortigiano che suona parole preziose”, facendo riferimento al tenore del quartetto che canta il testo (Dedola 96).
Il traggiu include elementi musicali come l’attacco vocale, il contorno melodico, l’ornamentazione e, innanzitutto, le qualità timbriche delle voci tenore (Regione Autonoma della Sardegna 13; Macchiarella 74). Per esempio, i cantori dei villaggi di Barbagia, come Orgosolo, utilizzano sillabe aperte nel canto (per esempio, “bim bam”) e un suono secco e aperto nel bassu (Regione Autonoma della Sardegna 13). I cantori dei villaggi di Orune, invece, utilizzano sillabe tonde e chiuse nel canto (per esempio, “bom”) e un tono più scuro nel bassu (Regione Autonoma della Sardegna 13). Queste sfumature provano che gli aspetti tecnici del canto a tenore non sono uniformi nell’isola, ma servono a distinguere l’esecuzione di un villaggio da quella di un altro.
La reazione alla tradizione in Sardegna indica che l’interpretazione delle canzoni del canto a tenore rivela la sua caratteristica regionale piuttosto che le sue caratteristiche musicali
generali (Regione Autonoma della Sardegna 13). Definire le sfumature interpretative
del traggiu in termini concreti risulta impossibile per chi non è nativo del luogo. Si può sintetizzare l’elusività del traggiu in questa dichiarazione del musicologo e cantante canto a tenore Sebastiano Pilosu, che giunge alla conclusione che quasi tutti gli abitanti sardi “possono riconoscere il traggiu del loro villaggio anche se non possono eseguirlo” (Pilosu 406). Vale a dire che l’interpretazione musicale del canto a tenore riflette il “carattere sociale” di un villaggio e dei suoi abitanti (Regione Autonoma della Sardegna 13). Mentre la poesia del canto a tenore enfatizza normalmente il carattere di tutta la Sardegna, i traggios fanno l’opposto: esprimono gli elementi unici di una identità locale, e l’abilità di “parlare” il traggiu locale, come l’abilità di parlare il dialetto locale, alimenta un senso di connessione che genera sentimenti di nazionalismo locale.
Visto che i cantori considerano il traggiu del loro villaggio come espressione della loro “tradizione locale autentica,” investono le loro energie anche nella protezione dei traggios locali per assicurare i loro “purità” (Pilosu 408). Ad Orgosolo, per esempio, la protezione del traggiu locale è una questione di orgoglio locale: i cantori di Orgosolo credono di non dovere cantare un altro traggiu perché questo implicherebbe un tradimento del loro villaggio; se questo succedesse, vorrebbe dire che loro non sentono orgoglio per la loro “specificità locale” (Pilosu 411-412). Ironicamente, mentre i cantori di Orgosolo impediscono l’unione del loro traggiu con altri, si compiacciono simultaneamente del fatto che i cantori di altre località sarde emulano gli elementi musicali che distingue quello di Orgosolo, come la durezza e la monotonia del canto (Pilosu 412; Deplano 5). Alcuni cantori sostengono che ciò conferma la superiorità del traggiu di Orgosolo e del suo tipo di canto a tenore su tutti gli altri (Pilosu 412).
Se da un lato i traggios distinguono il canto a tenore secondo i confini locali, dall’altro l’eccessivo accanimento posto nella difesa della loro purezza complica il nazionalismo regionale presente in Sardegna. Se l’atto di mescolare i traggios mette in pericolo l’autenticità e la sopravvivenza di ciascuna tradizione locale, allora le nazioni locali sono sempre in guardia contro questa minaccia. Peculiarmente, questa minaccia è esterna alla nazione locale (ossia i villaggi) ma interna alla nazione nel suo insieme (ossia la regione Sardegna). Dato che ogni piccola nazione deve competere per salvaguardare il suo traggiu, crescono i sentimenti di ostilità tra i villaggi.[5] Di conseguenza, il fenomeno del traggiu ha intensificato il nazionalismo locale in Sardegna perché per proteggere le proprie tradizioni ogni villaggio tende a prendere le distanze dalla nazione regionale sarda.
III. Canto a tenore nel presente
In epoca attuale, la proclamazione UNESCO ha enfatizzato la divisione tra quelli che vedono il canto a tenore come uno strumento per incoraggiare il nazionalismo regionale—i politici e i mass media— o nazionalismo locale—i cantori. La richiesta di essere parte della lista dell'UNESCO non è partita dai cantori ma dal presidente della provincia di Nuoro, che ha escluso tutti i cantanti di canto a tenore dal processo benché il loro coinvolgimento fosse un requisito esplicito (Macchiarella 72). Forse lo ha fatto perché l’atto di convincere l’UNESCO che il canto a tenore è una pratica “nazionale” richiedeva di cancellare le particolarità locale della tradizione. Come riconosce Thomas Turino nel suo saggio sulla musica nazionale, il nazionalismo genera la necessità di festeggiare le comunità locali minando, allo stesso tempo, la sua identità locale (198). In altri termini, le tradizioni locali procurano una moltitudine di attributi unici che la nazione può sfruttare per affermare la sua unicità e quindi la sua legittimità. Paradossalmente, se ne può selezionare solamente uno per rappresentare tutta la nazione, dato che il nazionalismo ha anche bisogno della uniformità tra i suoi membri.
Il presidente della provincia di Nuoro ha selezionato il tipo di canto a tenore utile, secondo lui, per costruire una nazione regionale sarda. Sia la burocrazia sia
i mass media hanno approfittato del fatto che il canto a tenore è un genere musicale unico e, facendo forse riferimento al timbro gutturale dei tenores, che non assomiglia a nessun altro genere di canto nazionale; questo carattere distintivo
del canto a tenore ha alimentato la loro affermazione che la musica sarda e quindi la nazione sarda siano
superiori (Macchiarella 72; Regione Autonoma Della Sardegna 11). I cantori, peraltro,
hanno visto questa rappresentazione come una visione esoticizzata da fuori della Sardegna
piuttosto che una riflessione vera del canto a tenore: nonostante la burocrazia, i mass media e l'UNESCO stesso abbiano ignorato le variazioni
locale, come i traggios, che sono essenziali alla tradizione (Macchiarella 76). Galvanizzati dal comportamento celebratorio da parte dei mass media, un gruppo di cantori si è unito nel gennaio 2006 per formare l’Associazione tenores Sardegna e salvaguardare la forma tradizionale del canto a tenore (Macchiarella 76).
Nel giugno del 2006, l’associazione ha risposto all’attacco alla forma “autentica” del canto a tenore organizzando l’evento “Pastores/tenores” (Macchiarella 77). I cantori hanno cercato di ricreare lo spirito “autentico” dei festival di canto a tenore del passato, durante i quali molti villaggi si riunivano per condividere la loro identità locale unica attraverso i traggios, ma anche per fare un confronto fra i traggios nell’ambito di “una appartenenza ad una cultura macro-sarda” (Macchiarella 77). Mettendo i traggios in conversazione anziché in competizione tra di loro, l’evento ha trovato un compromesso tra il nazionalismo locale e regionale con successo.
Questo evento, mettendo in evidenza i traggios di varie località e al tempo stesso confrontandoli tra loro con il pretesto di celebrare una cultura sarda comune, ha dimostrato come sia possibile far coesistere il nazionalismo locale e regionale della tradizione del canto a tenore. Come la tradizione sarà utilizzata da politici, mass media, industria del turismo o dai cantori stessi determinerà la forma di nazionalismo che trionferà. Ma in fin dei conti, rimane la questione se il canto a tenore può essere un vero strumento per il nazionalismo se la identificazione della Sardegna come una “nazione” è ancora oggetto di disputa.
[1] Il sardo è una lingua romanza diversa d’italiano.
[2] È interessante notare che l’uso del sardo non sarebbe espressamente nazionalista senza il confronto con l’italiano; infatti, il processo che ha portato a identificare che la lingua ha avuto la potenza di innescare il nazionalismo sardo.
[3] Tenere presente che il testo di sopra é presentato in italiano standard.
[4] Questi termini sono unici alla lingua sarda e non hanno un equivalente diretto;
potrebbe essere utile pensare alle voci (bassu, contra, mesu boghe e boghe) come basso, tenore, soprano e alto (in quest’ordine) per capire la loro estensione.
[5] Bohlman spiega questo collegamento tra la competizione e l’ostilità in Focus: Music, Nationalism, and the Making of the New Europe, 60.
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